In questi giorni il video di Flavio Briatore che parla agli studenti della Bocconi di startup che sono fuffa, ha suscitato non poche polemiche e un bel po’ di indignazione sul web, tra alcuni studenti stessi della Bocconi e soprattutto tra gli addetti ai lavori. Prima di fare le nostre riflessioni vorrei mostrarvi i benefici che possono avere proprio le pizzerie nostrane grazie a due startup (le prime che ci sono venute in mente anche se ce ne sarebbero tante altre e tutte in attivo).
La prima è 2spaghi, il social network di recensioni di ristoranti e pizzerie che per primo ha portato in Italia la pratica della prenotazione online. Si può prenotare una pizza “Briatore” nella pizzeria più vicina a te (e affine ai tuoi gusti), che immaginiamo si chiami “da Flavio”, con un semplice click dal tuo smartphone. La seconda startup è Rysto, un portale per cercare e trovare lavoro nel mondo della ristorazione, creato circa un anno fa da due ventottenni e finanziata da una società di venture capital, Principia Sgr, per 1 milione di euro. Quindi se la nostra fantomatica pizzeria da Flavio cercasse proprio all’ultimo momento un pizzaiolo o un cameriere potrebbe agevolmente cercare nel database del portale. Quando hanno avuto l’idea? Quando facevano i camerieri in un ristorante, da studenti italiani all’estero.
Ora vi affidiamo le nostre domande:
1) Come mai si parla pochissimo di una cosa semplice: cioè che un ottimo team + competenze tecniche + competenze manageriali + passione + mercato giusto (di nicchia, di massa malservita ecc.) significa aumentare enormemente le possibilità di avere successo?
2) Perché non si ritiene normale in Italia avere rispetto di chi ce la fa e magari tentare di valorizzare attraverso i mass media proprio quelle attività che riescono a farcela qui (Es. Oilproject, Timbuktu, Yoox, Mutuionline, Venere ecc.)?
3) Perché non si ritiene normale in Italia avere rispetto di chi non ce la fa ma che tentando e ritentando alla fine impara un mestiere e magari viene assunto da chi ce l’ha fatta o in qualche multinazionale?
4) Gli investitori probabilmente sono ancora pochi in Italia anche se ce ne sono di validi. Ma chi l’ha detto che uno non può imparare a fare startup in Italia e farsi finanziare/acquisire da investitori esteri per crescere e diventare “grande” in Italia o all’estero (Es. la società Eos di Spinelli acquisita per 400 milioni di dollari)?
5) Tra quelli che stanno solo sfruttando i sogni di chi ci crede e sperperando soldi pubblici, ci sono tanti validissimi Hub, Fablab, Incubatori, Centri di co-working, Centri ricerca e innovazione, Agenzie tecniche, Centri di formazione che fanno sul serio? Italia Lavoro, l’Agenzia Tecnica del Ministero del Lavoro non potrebbe giocare un ruolo fondamentale nel governare, selezionare o coordinare questi processi innovativi?
6) Come mai il legislatore ha creato una legislazione apposita per le startup innovative? È impazzito oppure si è accorto dell’importanza di creare e promuovere anche questa tipologia di impresa?
7) La sinergia tra impresa e ricerca applicata può essere migliorata oppure dobbiamo attendere che il potenziale di innata creatività italica si esaurisca?
8) Possibile che dobbiamo sempre “complicare il pane” e non capirci anche sulle cose semplici e in parte vere? Non sarebbe stato più produttivo parlare ai bocconiani di artigiani, di attività manuali richiestissime dal mercato, di settori in espansione, di gestione innovativa di catene di pizzerie senza denigrare il sacrificio, le passioni e la vita degli altri?
9) Non è forse meglio coltivare razionalmente i proprio sogni, formarsi e tentare di creare una startup piuttosto che svolgere periodi di stage mal pagati per “fare fotocopie”, dopo aver conseguito lauree, master e corsi qualificanti?
10) Credere che chi fa startup non sappia a cosa può andare incontro è quantomeno inopportuno, che siti come startupover (che conta quasi 20.000 like su facebook) siano pane quotidiano di ogni startupper è fuori discussione. La domanda è cosa spinge chi vuole inventare, innovare, investendo tempo e denaro? Perché lo sta facendo, nonostante i rischi a cui va incontro? Quando ne vale veramente la pena? Quando ci si deve fermare? Chi valuta il potenziale del team? Chi sono i migliori valutatori di progetti di impresa innovativa? Cosa si può fare per migliorare il sistema in cui operano le startup?
Da un imprenditore come Flavio Briatore e da professori della Bocconi sarebbe stato giusto attendersi risposte concrete alle tante domande che assillano i giovani anziché affermazioni semplicistiche. A nostro avviso Briatore si è accorto della gaffe e le sue intenzioni non potevano essere quelle di mortificare gli startupper e tutto il circuito di esperti che da anni cerca di innovare con serietà, creatività, abnegazione e competenza. Pur consapevole dei ritardi della burocrazia, della mancanza di una banda larga diffusa, dei limiti strutturali, infrastrutturali e comunicativi probabilmente la sua intenzione era quella di provocare (nel modo sbagliato) proprio queste riflessioni tra gli addetti ai lavori ma soprattutto tra i politici.
Marco Vito Calciano